La Collegiata S. Maria del Colle a Pescocostanzo

La Collegiata S. Maria del Colle
a Pescocostanzo

Le fasi costruttive

Entrando nella chiesa Collegiata di S. Maria dell’Assunta, più nota come S. Maria del Colle, il visitatore, raggiunto il piano di calpestio, resta sorpreso dal suo orientamento trasversale, dalla notevole ampiezza del suo interno, non immaginabile guardando la facciata prospiciente la Strada Vulpes, e dalla ricchezza dei suoi altari ed arredi. La forma pressoché quadrata della pianta, divisa in cinque navate con una sola abside, e la semplicità delle strutture ad archi e pilastri, sono soverchiate dalla bellezza degli apparati decorativi in legno, in pietra e in marmo e pertanto appaiono quasi nascoste ad un osservatore non troppo attento. Solo ripercorrendo le vicende costruttive di questo edificio è perciò possibile farsi una ragione delle sue peculiarità1.

Una chiesa di S. Maria esisteva già a Pescocostanzo nell’XI secolo; essa si trovava a una certa distanza dal ‘peschio’, cioè dallo spuntone di roccia intorno al quale si era raccolto il primo nucleo dell’abitato sovrastato da un castello2. Il terremoto del 1456, devastante nel territorio appenninico centro-settentrionale del Regno di Napoli, come è attestato da una fonte coeva, colpì anche questo borgo, che ne rimase “plerumque collapsum”, benché le vittime fossero limitate al numero di cinque3. Presumibilmente in tale circostanza dovette essere distrutta anche la chiesa medioevale di S. Maria, la cui ricostruzione dovette tuttavia avvenire molto presto, se nel 1466 – come attesta un’iscrizione scolpita nella catena di una capriata lignea – ne veniva completata la copertura4.

È all’incirca nel primo trentennio del Cinquecento che, a Pescocostanzo, si avviò l’espansione dell’abitato nello spazio che divideva il nucleo detto ‘del Castello’ dall’altura dove sorge la Collegiata di S. Maria ‘del Colle’: ne è prova la decisione dell’illustre feudataria Vittoria Colonna di stabilire, nel 1535, un regolamento per un ordinato sviluppo dell’edilizia5.

Ma alla crescita del paese fece riscontro anche l’esigenza di una chiesa più grande. La struttura del XV secolo doveva presentarsi orientata, come l’attuale, da est a ovest, del tipo a tre navate, divise probabilmente da un maggior numero di pilastri, con un’unica abside, forse di minori dimensioni ma già, forse, a terminazione quadrangolare, copertura con capriate a vista, facciata a terminazione orizzontale conforme allo schema diffuso dal secolo precedente nella città dell’Aquila e nel suo territorio. Intorno alla metà del Cinquecento dovette essere dunque prevista ed iniziata la ristrutturazione della fabbrica precedente, che solo agli inizi del Seicento avrebbe raggiunto l’assetto attuale (fig. 1). La decisione di aggiungere due navate comportò, evidentemente, la demolizione delle pareti laterali, sostituite da pilastri, e la loro ricostruzione in posizione arretrata. Il piano di cantiere non consentiva però, sul lato settentrionale, a causa della forte pendenza, un comodo accesso; inconveniente che fu risolto con l’inclusione di una rampa di otto gradini all’interno del perimetro della chiesa e in corrispondenza della nuova navatella aggiunta a nord, mentre la sistemazione della rampa di scale esterna fu eseguita soltanto nel 1580, come attesta un’epigrafe scolpita sul pilastrino terminale della sua balaustrata. A questa data doveva essere già stata terminata, pertanto, la nuova facciata settentrionale con un portale, forse non ancora sormontato da un oculo, e dallo stesso coronamento rettilineo presente sulla facciata occidentale.

La creazione di un secondo ingresso era stata determinata dalla nuova situazione urbanistica in cui veniva a trovarsi la chiesa: l’espansione edilizia quattro-cinquecentesca, nell’area compresa tra l’antico borgo e la stessa chiesa, aveva comportato il formarsi di un tracciato viario che, fiancheggiando l’altura su cui sorge la Collegiata, proseguisse poi verso una piazzetta, sede della sede amministrativa di Pescocostanzo (fig. 2). Un asse viario di tale importanza suggeriva pertanto una degna facciata che, trovandosi in posizione elevata, rappresentasse la chiusura della visuale prospettica per chi provenisse dalla piazzetta. Ma un nuovo ingresso su questo lato doveva rendersi necessario anche perché il proseguimento della stessa via fiancheggiava, come si è detto, l’altura del ‘colle’ dalla parte su cui insisteva l’antica facciata, determinando probabilmente, a seguito di un verosimile livellamento del tracciato e dell’allineamento alle cortine edilizie, la creazione di un contrafforte terminante in un terrazzo destinato a sagrato, in conseguenza della sopraggiunta impossibilità di un degno e comodo accesso al naturale, primitivo fronte occidentale (fig. 3).

Se la nuova struttura a cinque navate potrebbe essere già stata terminata entro il 1558, momento nel quale veniva collocato un nuovo portale sul lato ovest, la seconda facciata potrebbe essere stata realizzata solo dopo che, conclusa nel 1561 la facciata occidentale, si dovette decidere di collocare sul fronte settentrionale il portale quattrocentesco rimosso dalla facciata originaria, più tardi sormontato da un oculo ellittico quasi aderente al suo archivolto: e tanto la forma che la posizione di questa apertura appaiono condizionate dal vincolo rappresentato dalla falda del tetto che, nel coprire le navatelle più esterne, doveva forzatamente abbassarsi di molto rispetto al suo colmo. E questo nonostante che lo stesso colmo venisse rialzato nel 1606, allorché terminarono i lavori di ampliamento e sopraelevazione delle strutture portanti della chiesa, come attesta un’iscrizione sulla catena di una capriata prossima a quella del 14666. Quest’ultima, evidentemente, era stata ricollocata sul nuovo livello di posa per la avvertita necessità, a quarantacinque anni dalla conclusione dei lavori, di dotare la copertura, almeno sulla navata centrale, di una più adeguata pendenza. Ma l’andamento delle coperture impose anche l’adozione di due doccioni, in forma di protomi leonine, sulla facciata settentrionale, e di uno soltanto, di uguale disegno, all’estremità destra della facciata occidentale.

L’interno dovette essere concepito, nei lavori cinquecenteschi, con nuovi pilastri quadrangolari formati da pseudolesene sporgenti da ciascuna faccia, dotate di basi e cornici d’imposta in funzione di capitelli, a sostenere ampi archi longitudinali a tutto sesto (fig. 4); di semplice sezione rettangolare, con uguali basi e cornici, i pilastri divisori delle navatelle del lato meridionale. Una struttura siffatta non lascia ipotizzare la possibilità che, in un primo tempo, si fosse potuto pensare a una copertura a volte, sconsigliata anche dal ricordo del terremoto di un secolo prima. E, controllando le proporzioni della fabbrica in pianta, è da escludere anche che la primitiva costruzione a tre navate potesse essere stata priva di una delle campate7. Da notare invece, osservando ancora la pianta8, il notevole spessore delle pareti di facciata e l’ulteriore ispessimento sull’angolo nord-occidentale: evidentemente le superfici libere da appoggi di entrambe le facciate ‘a tabellone’ suggerirono, per maggior sicurezza, un aumento delle sezioni di queste pareti. A concludere la navata centrale un arco trionfale in pietra a vista, di gusto rinascimentale, rappresenta il principale elemento architettonico dell’interno della chiesa: caratterizzato da robusti pilastri corinzi dal fusto scanalato e capitelli che interpretano un po’ liberamente il corinzio, esso mostra un intradosso scolpito a cassettoni che reca in chiave la figura di un cherubino e composizioni di motivi vegetali alternati a rose in forte rilievo, elementi, questi ultimi, che rivelano la conoscenza dei più ricchi esempi delle arcate interne della chiesa della Consolazione di Todi o del Tempietto di Macereto. E alla stessa fase cinquecentesca, motivata dalla volontà di adeguarsi ai nuovi dettami del Concilio di Trento, dovrebbe essere attribuita anche la struttura della profonda abside quadrangolare, destinata ad accogliere gli stalli del coro del Capitolo Collegiale; tranne che per la copertura, una volta a spicchi su base ottagonale, con incasso centrale, raccordata al rettangolo tramite pennacchi cui parrebbe più consona una datazione al XVIII secolo (fig. 5).

Tornando all’esterno, ed osservando la facciata occidentale, non si può fare a meno di considerarne la non felice proporzione, trattandosi di una lunga parete corrispondente a ben cinque navate. Priva della scansione offerta da un ordine architettonico9, essa appare limitata alle estremità da due pilastri angolari in pietra a vista in lieve risalto e conclusa dalla sottolineatura di una doppia fascia, pure in pietra a vista, sormontata da un’elegante cornice e interrotta da due oculi ellittici – evidente aggiunta successiva – posti simmetricamente ai lati di un oculo circolare centrale (fig. 6). Che quest’ultimo possa essere appartenuto alla fabbrica quattrocentesca appare improbabile, dal momento che la sua decorazione decisamente classica – ovuli e foglie di acanto finemente scolpite – parrebbe più pertinente alla metà del Cinquecento. Di notevole interesse il portale, avvicinabile ad alcuni esemplari di palazzi civili aquilani e sulmonesi per il suo schema, nel quale è stata riconosciuta un’evoluzione del tipo durazzesco del primo Quattrocento napoletano10, diffuso in altre regioni meridionali, Sicilia compresa11. Un vano rettangolare, sormontato da lunetta, è fiancheggiato da lesene corinzie scanalate e colonnine dal fusto liscio che raggiungono l’altezza di una cornice d’imposta comune anche all’architrave, sorretto da mensole. La sovrastante lunetta è a sua volta inquadrata da basse lesene, pure di ordine corinzio, dai fusti segnati da incassi e dai capitelli di un gusto tardoquattrocentesco lombardo, a sostenere una trabeazione nel cui fregio è incisa l’iscrizione A. D. 1558; nei pennacchi dell’arco, a somiglianza dei prototipi durazzeschi già ricordati, due scudi a testa di cavallo, ornati da nastri volitanti, recano rispettivamente incise le iniziali A e M, abbreviazione di Ave Maria (fig. 7).

Completano le aperture della facciata due finestre con stipiti ribattuti e mensole ribaltate, fregio e cornice risaltanti in corrispondenza degli stipiti, frontoni triangolari di coronamento: un disegno di carattere settecentesco, che richiama qualche esempio aquilano, per il quale non sembra accettabile la data 1564 proposta. Si tratta evidentemente di una modifica di aperture precedenti, forse contemporanea all’apertura delle finestre absidali12, volta al miglioramento dell’illuminazione delle navate. Mentre, delle finestre originarie, potrebbe essere rimasta testimonianza negli ornamenti scolpiti sottostanti i davanzali. Nei rispettivi fregi le finestre recano le iscrizioni: MARIA VIRGO e A SVMPTA I.

Alla stessa impostazione della occidentale corrisponde il disegno della facciata settentrionale (fig. 8): di più snelle proporzioni, presenta anch’essa pilastri angolari e fasce di coronamento sormontate da cornice. Oltre all’oculo ellittico centrale, ai lati del portale si affiancano semplici finestre rettangolari, esito anch’esse, a mio parere, di modifiche settecentesche, se non ancora più tarde13. Si è già accennato al portale quattrocentesco qui ricollocato: per il suo schema esso è stato avvicinato ad esempi aquilani e di Cittaducale, e in particolar modo alla Porta Santa della Basilica di Collemaggio14; il gusto decorativo al quale il portale di Pescocostanzo si ispira rivela tuttavia la sua più tarda esecuzione.

A completare la fabbrica fu aggiunta intorno al 1595 la sacrestia e negli anni 1691-1694 la Cappella del Sacramento; mentre il campanile, forse di origine quattrocentesca, subì diverse trasformazioni, fino all’attuale sistemazione, conclusa nel 185515.

Adriano Ghisetti Giavarina

Note

1 Per una dettagliata ricostruzione storica delle diverse fasi costruttive v. soprattutto: F. Sabatini, La regione degli altopiani maggiori d’Abruzzo. Storia di Roccaraso e Pescocostanzo, Genova 1960, pp. 62-63, 110-112, 180-189. 2 L. De Padova, Memorie intorno alla origine e progresso di Pescocostanzo, Monte Cassino 1866, pp. 23-24. 3 G. Magri, D. Molin, Il terremoto del dicembre 1456 nell’Appennino centro-meridionale, Roma 1984, p. 133; B. Figliuolo, Il terremoto del 1456, Altavilla Silentina (SA) 1989, vol. II, p. 124. 4 De Padova, op. cit., p. 113. 5 Ibidem, pp. 72-75; L. Benevolo, L’arredamento barocco di S. Maria del Colle a Pescocostanzo, in “Quaderni dell’Istituto di Storia dell’Architettura”, n. 5 – 1954, p. 3. 6 De Padova, op. cit., p. 115. Ritengo che dopo questi lavori si poté aprire l’oculo. 7 Contrariamante ad ipotesi formulate in Sabatini, op. cit., p. 111. 8 Disegno pubblicato in: A. Del Bufalo, L’architettura religiosa, in Pescocostanzo. Città d’arte sugli Appennini, a cura di F. Sabatini, Pescara 1992, p. 110.  9 Cfr., per la descrizione di questo tipo di facciate, C. Palestini, Modulo e proporzione nel disegno delle facciate a coronamento orizzontale in Abruzzo: l’esempio di Santa Maria Assunta di Atri, in “Opus. Quaderno di Storia dell’Architettura e Restauro”, 5 – 1996, p. 77 e 103. 10 I. C. Gavini, Storia dell’architettura in Abruzzo, Milano – Roma s. d. [ma 1928], pp. 317-318 e 321; v. anche: M. Moretti, M. Dander, Architettura civile aquilana dal XIV al XIX secolo, L’Aquila 1974, p. 93; F. Sulpizio, Palazzi rinascimentali dell’Aquila, in Architettura del classicismo tra Quattrocento e Cinquecento. Puglia Abruzzo, a cura di A. Ghisetti Giavarina, Roma 2006, p. 136. 11 [Anonimo], Rassegna fotografica di portali siciliani, in “Lexicon. Storie e architettura in Sicilia”, n. 5/6 – 2007/2008, pp. 90-91 e 93. 12 Forse, per tali finestre, converrebbe una data di qualche anno successiva al 1742, momento del completamento dei soffitti delle navate mediane attestato da iscrizioni ivi apposte (Sabatini, op. cit., p. 203, n. 132). All’interno della finestra a sinistra dell’ingresso è sviluppata la decorazione a stucco del sottostante altare di S. Elisabetta, attribuito a Gian Battista Giani e Francesco Ferradini (V. Casale, Fervore d’invenzioni e varietà di tecniche nell’età barocca, in Pescocostanzo. Città d’arte…, cit., pp. 193-194) e databile agli anni Cinquanta del XVIII secolo; e si direbbe che, per consentire l’apertura della stessa finestra, siano state in parte tagliate le modanature che incorniciano il soffitto ligneo. 13 La chiesa subì un restauro generale negli anni 1854-1859 (Sabatini, op. cit., p. 182). 14 Gavini, op. cit., p. 188. 15 Sabatini, op. cit., pp. 181-182.

Rivista Abruzzese